Ho deciso di scrivere questo articolo con la speranza di eliminare alcuni equivoci relativi ai concetti di dominanza, gerarchia, leadership e tutti quei termini che creano il panico tra gli educatori cinofili, in quanto vengono associati immediatamente a qualcosa di cruento e costrittivo, che inibisce il sano sviluppo della mente e del corpo del nostro amico (lo chiamo “amico”… ma vi posso assicurare che la maggior parte degli umani che ci portano i cani al centro hanno un sentimento di ambivalenza odio-amore verso il loro cane).
Ma andiamo con ordine. La struttura gerarchica, la leadership ecc. implicano qualcosa di cruento e/o costrittivo?
Agli occhi di molti, che immaginano una vita naturale armonica in cui tutti si vogliono bene e ognuno capisce cosa sia giusto fare, basta parlare di gerarchia per immaginare subito il cucciolo brutalizzato dall’umano belzebù.
Questo modo di vedere la cosa credo sia mutuato dall’esperienza umana piuttosto che dall’osservazione scientifica.
All’interno del branco, infatti, la violenza è data da gesti e da suoni che, per necessità naturale, di violento non hanno niente se non la “promessa”.
Purtroppo questo modo molto umano di interpretare la cosa ha portato a credere che bastasse fare la voce grossa o dare un bel calcio nel sedere al cane per fargli capire chi comanda (per tacere poi dell’alpha roll e della sua inutilità).
Da questa posizione temo si sia passati però all’eccesso opposto: negazione assoluta della gerarchia in quanto foriera di maltrattamenti e costrizioni.
Rispetto alla prima posizione si sono fatti parecchi passi avanti: ora, ad esempio, sappiamo che non è il “capo” a rovesciare sulla pancia il “sottoposto”, ma è il “sottoposto” stesso che, riconoscendo il “capo”, gli manda segnali di sottomissione.
Non solo. La maggior parte dei segnali all’interno del gruppo hanno lo scopo di comunicare in modo chiaro e inequivocabile quali siano le regole e che queste devono essere rispettate.
Si tratta di posture e suoni che, in quanto tali, hanno lo scopo di scongiurare lotte foriere di instabilità e vulnerabilità (nel senso che rimanere feriti indebolisce il gruppo).
Ma allora, vivendo con un cane, come faccio a riprodurre uno scenario di questo tipo?
Non si può. O almeno, non è possibile riprodurlo fedelmente.
Non siamo in grado di ringhiare in man iera convincente (almeno non tutti), di muovere coda e orecchie in un certo modo e così via. Possiamo però inscenare una serie di comportamenti che il cane inequivocabilmente percepirà come comportamenti da “capo”.
E quali sarebbero questi comportamenti?
Chi possiede le risorse, comanda. Anche solo momentaneamente, ma comanda.
Quindi, in maniera assolutamente non cruenta, faccio vedere all’umano di turno quali siano le regole della casa perché il suo cane lo riconosca come punto di riferimento.
I comportamenti che consiglio (niente di originale – già tutto detto e scritto) devono diventare degli atteggiamenti continui, gesti ordinari e quotidiani.
Quali sono le risorse?
Le solite; quasi tutti ne parlano: cibo, affetto, gioco, spazi, stare insieme e separarsi.
Rispetto a questo, rimando a scritti ben più approfonditi e autorevoli del mio.
Solo un piccolo riepilogo: quando parlo di leadership indico qualcosa di cruento e costrittivo?
Cruento, assolutamente NO. Costrittivo sì, almeno in parte: nel senso che non tutto è concesso e che l’autoeducazione in natura non funziona (né per bambini né per i cani).
Devo essere duro per farmi rispettare dal mio cane?
Assolutamente NO: devo essere coerente, paziente e fargli capire che non tutto è come vuole lui, come non tutto nella vita è come voglio io… ma siccome a fare la spesa, a prelevare con il bancomat o a guidare l’automobile sono io, sarò io a decidere certe cose.
Il “comando” porta onori ed oneri e la maggior parte dei cani gli oneri non li vuole.
L’armonia che si vede nei film o si legge nei racconti si ottiene con anni di lavoro ed è frutto di costanza e pazienza.
Nel frattempo ci sono i guai.
Quanto detto dovrebbe essere supportato da basi scientifiche. Peccato però che, sebbene molti studiosi diano per assodato e certo quanto detto sopra, ce ne siano altri, altrettanto bravi, che parlano di struttura familiare molto più armonica e amichevole, per cui tutta la questione della gerarchia va a farsi benedire.
Chi ha ragione? Non lo so, ma credo di aver trovato il metodo per risolvere l’aporia rifacendomi a Kuhn e al suo libro “La struttura delle rivoluzioni scientifiche”.
Secondo Kuhn, una teoria viene ritenuta valida, indipendentemente dalla sua verità, fino a quando risolve tutte o la maggior parte o almeno le più importanti questioni che riguardano la materia di cui tratta.
Solo quando questo paradigma non risponde più a queste questioni in maniera esauriente, un nuovo paradigma ne prende il posto.
Un esempio: il sistema tolemaico sarebbe stato ancora valido se avesse risolto tutte o la maggior parte o almeno le più importanti questioni di sua competenza, indipendentemente dalla sua verità.
Il paradigma è cambiato con il sopravvento di quello copernicano non perché quello copernicano fosse più vero, ma perché risolveva i problemi che l’altro non riusciva ad affrontare.
E nel mondo dei cani? Fino a quando riuscirò a affrontare e risolvere problematiche comportamentali adottando tecniche che pensano al branco misto come a una struttura gerarchica, per me il paradigma sarà valido indipendentemente dalla sua verità.
Basta la questione gerarchica a risolvere tutti i problemi?
NO, ma è un buon inizio.
Inscenare gesti e comportamenti che il cane capisce al volo è una buona base per cominciare, risolve in maniera indiretta alcune problematiche ed è un buon “mezzo” per raggiungere l’armonia nel gruppo.